giovedì 24 settembre 2009

L'Isola che Non C'è...

Gli ultimi tre giorni sono stati incredibili, la località che ha visto protagonisti gli eventi che seguono è Fraser Island, immensa distesa di sabbia al largo di Harvey bay. A mente fredda ma con il cuore ancora provato mi concedo un flashback che provi per quanto sia possibile, e per quanto è nelle mie capacità, di elargire ad essi una reale accezione a possibile narrazione..
Questa nuova avventura ha avuto inizio Venerdi scorso quando dopo essere stato abbandonato dalla mia famiglia come un cagnolino, sul bordo dell’autostrada il 15 di agosto (ok ok, forse sono stato un pò troppo lirico) ho provveduto a prenotare il famoso ed imperdibile self drive tour di Fraser Island.
Ho trovato fortunatamente posto già nel primo tour disponibile così dopo aver stoccato il mio zainone ed aver messo un paio di magliette nel mio zainetto secondario, mi sono incontrato con il tour operator per ricevere un breve briefing sul modus operandi che si deve tenere sull’isola.
La cosa funziona così:
un’isola di 120 km di lunghezza x 30 km di larghezza completamente fatta di sabbia (SOLO sabbia, non ci sono ne rocce ne terra li), una jeep del 1989 con un motore immenso ma le sospensioni inesistenti e dulcis in fundo una comitiva di sprovveduti turisti che hanno l’arduo compito di girare dove e come vogliono sulla superficie dell’isola tentando di non insabbiarsi pena 1000 dollari di carro attrezzi che proverà a salvarli dalla buca nella quale saranno inevitabilmente finiti.
A questo punto viene il bello, ho dato una prima occhiata alla comitiva e mi sono accorto che era così composta, 5 ragazzi irlandesi (4 ragazze ed 1 ragazzo), 3 ragazzi di Londra, 2 tedesche (wow) ed il vostro cantastorie.
La domanda mi è sorta spontanea e non ho potuto fare altro che porla al tizio del tour,

IO: “ma come diavolo entrerano 11 persone in una sola jeep?”
Anche la risposta è arrivata altrettanto spontaneamente,
TOUR OPERATOR: “semplice, 3 davanti ed 8 dietro”
IO: “ah ok, a posto, non ci avevo pensato” …

Il briefing però non è finito quì, ci hanno dato una cartina con un’itinerario di massima che potevamo seguire come che no, ci hanno spiegato come funzionano le ridotte e le 4wd, ci hanno avvertiti sui pericoli di terra come serpenti, dingo e ragni e di mare presenti su Fraser.

TOUR OPERATOR: “se l’acqua vi arriva al ginocchio, avete il 60% di probabilità che uno squalo, una jellyfish o un serpente vi portino via la gamba, se invece l’acqua è profonda 2 mt, probabilmente vi porteranno via tutto il corpo.
IO: “ma se me ne stavo a Whiteven beach non era meglio?

La simpatica riunione è finita in bellezza quando ci hanno messo davanti ad un televisore per farci vedere spezzoni di telegiornali in cui si parlava degli innumerevoli incidenti mortali e non che avvengono ogni settimana sull’isola a causa dell’elevata velocità e delle improvise ed invisibili dune di sabbia che fanno compiere voli incredibili alle jeep che si aggirano sull’isola.
Vabbeh, fatta anche questa, alle 11:10 si parte direzione porto dove ci siamo imbarcati per la nostra meta che abbiamo raggiunto 30 minuti di navigazione più tardi.
L’isola, a dir poco SPETTACOLARE, una immense distesa di sabbia sulla quale è cresciuta una foresta fittissima nel bel mezzo della quale sono state ricavate “strade” strettissime e fatte totalmente di soffice e profonda sabbia sulle quali camminare era difficilisimo visto che si affondava di almeno 30-40 cm ad ogni passo, immaginate a doverci guidare sopra....
La nostra vecchia jeep, navigava letteralmente su quella instabile superficie, conducendoci fin da subito a mete fantastiche come il lago mcanzie o la ship wrack, posti che mai mi sarei aspettato di trovare quì.
Tutto funzionava alla perfezione, l’auto, le condizioni metereologiche, tutta quella sabbia, l’ottimo feeling tra noi nonostante la diversa provenienza e la brevissima conoscenza che avevamo l’uno dell’altro, tutto era ok, avevamo un dono, la musica e la stupidità e nessuno aveva mai avuto entrambe le cose a questi livelli.
La sera siamo giunti al campeggio che quelli del tour avevano prenotato per noi e siamo stati accolti da uno degli aborigeni che lo gestiscono, lo abbiamo visto alzarsi dalla sua sedia ed incamminarsi verso la nostra direzione per indicarci dove potevamo meterci, mai vista una persona camminare così lentamente, avrà fatto 30 mt in 10 minuti, tra me e me ho pensato "per cronometrarlo non serve l'orologio ma un calendario, anzi, se avessi un sasso, l'erosione del vento mi indicherebbe il tempo impiegato” ma provate voi a tradurre in inglese tutta questa frase...
Alfin giunto al nostro cospetto, il simpaticone ci ha indicato un dojo che sarebbe stato tutto per noi, una specie di gazebo chiuso da una rete antizanzare, con il pavimento di legno dentro al quale avremmo dormito senza neanche il bisogno di piantare le tende, bella idea, non fosse che la mattina al nostro risveglo, ci siamo resi conto che dormire con il saccoapelo sulla sabbia sarebbe stato sicuramente più comodo che dormire in un saccoapelo buttato su di un pavimento di dure assi di legno…
Salutato l’aborigeno, siamo ripartiti verso l’indian head, una conformazione che ricorda (solo agli altri, a me no) un profilo di un’indiano, dall’alto della quale è possible vedere I delfini, le tartarughe, le balene e gli squali che si aggirano lungo la costa dell’isola.
Nel pomeriggio, abbiamo deciso di cercarci un bel posto, magari isolato, dove saremmo stati solo noi così da poter piantare le tende dateci in dotazione in tutta tranquillità, nel mentre che facevamo questo, sfrecciando a 90 kmh sulla spiaggia, dei ragazzi ci hanno fatto segno di fermarci, li abbiamo accontantati ed uno di loro ci si è avvicinato trascinando uno scatolone di cartone e dicendoci che questo era il nostro giorno fortunate, era il loro ultimo pomeriggio sull’isola ed avevano avanzato 7 bottiglie di champagne che non volevano buttare così, ce le hanno regalate.
Accettato di buon grado il presente offertoci, siamo ripartiti ed abbiamo trovato il posto perfetto dove fermarci, peccato che nel frattempo fosse già sceso il buio, siamo stati così costretti a montare le tende con la sola luce dei fanali dell’auto.
La scena che si sarebbe presentata agli occhi di un’ipotetico spettatore aveva del comico, chi instaurava vere e proprie lotte con tende e picchetti, chi creava la giusta atmosfera con banjo e fuoco, chi si avvantaggiava con il cucinare e chi per volere commune di tutti i maschi presenti è stata costretta a immobilizzarsi, lontano da qualsiasi strumento tecnico o meccanico che avesse anche un minimo valore, a causa della poca destrezza di utilizzo e dell’alto rischio di danneggiamento, (la chiamano anche intrinseca propensione femminile…).
Nonostante la difficoltà data dal buio, ne è persino uscita un’eccellente cenetta a base di pasta al ragu’ (ragu’ costituito da hamburgher "smontato" e miscelato con salsa pronta di pomodoro), sempre meglio dei pranzi che abbiamo consumato in questi giorni quando a causa del poco tempo e degli scarsi mezzi a nostra disposizione, abbiamo ripiegato sui praticissimi ma sintetici noudle, quando era la fame a prevalere sul razionale.
La serata è trascorsa così in spiaggia, attorno al falò a bere champagne a canna facendo stupidi drinking games in inglese che hanno visto volar via le ore in spontanea allegria.
Un'immagine da cartolina, un momento speciale di una bellezza disarmante, uno di quei luoghi che avrei voluto condividere con gli amici di sempre per poi ricordarlo una sera al bar, vent'anni dopo… “ma ti ricordi di quella volta...."
Nostalgia canaglia!!
La stessa notte, un gruppo di dingo è venuto a far visita al nostro accampamento alla ricerca di cibo aggirandosi tra le tende annusando qua e la e ululando a 1 metro dalle nostre tende.
Fortuna ha voluto che verso le 3:30 una nuvoletta di passaggio abbia rovesciato una finissima ma bagnatissima piogerellina che per 10 minuti ha bagnato spiaggia, macchina, dingo (che si sono andati a rifugiare nella foresta per non tornare più) ma sopratutto le nostre tende che abbiamo scoperto essere di bassissima qualità e bassissima tenuta stagna, tant’è che è piovuto dentro dal “tetto”, andando a bagnare tutti i miei boxer puliti, fortuna che non avevo piu' boxer puliti, quindi anche in questo caso la sventura è stata relativa. L’ultimo giorno sull’isola, lo abbiamo passato sguazzando in un laghetto “sicuro” dell’entroterra salvo poi farci trovare alle 2 sul porto per fare ritorno alla terra ferma, più precisamente ad Hervey Bay da cui ora vi scrivo ma che domani lascerò alla volta di Brisbane ma, questa sarà un’altra storia.
Vi lascio con qualche foto e...
chi non viene sul blog avrà ancora mutande pulite alla mercè della pioggia…





2 commenti:

il boss ha detto...

tempo fa volevi degli allegati.... te li do io gli allegati HIHIHIHI!!!!!!

Marz ha detto...

“se l’acqua vi arriva al ginocchio, avete il 60% di probabilità che uno squalo, una jellyfish o un serpente vi portino via la gamba, se invece l’acqua è profonda 2 mt, probabilmente vi porteranno via tutto il corpo"

Uahahahaahahahahahaahahahahahahahaahhahahahaahahahahahahah!